Internet: proporzionalità nei controlli effettuati dal datore di lavoro – 2 febbraio 2006
IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;
Esaminato il ricorso presentato da XY, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alfredo Sigillò Massara e Vincenzo Sigillò presso il cui studio ha eletto domicilio
nei confronti di
ZK S.p.A. rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Maggio presso il cui studio ha eletto domicilio;
Visti gli articoli 7, 8 e 145 ss. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);
Viste le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
Relatore il dott. Mauro Paissan;
PREMESSO
Il ricorrente ha ricevuto dalla casa di cura resistente, presso cui prestava servizio come addetto all’accettazione e al banco referti, una contestazione disciplinare relativa ad accessi ad Internet non autorizzati effettuati sul luogo di lavoro.
Il ricorrente ha chiesto il blocco e la cancellazione dei dati personali che lo riguardano relativi a tali accessi, ai sensi dell’art. 7 Codice. La resistente li aveva documentati producendo numerose pagine -allegate alla contestazione disciplinare- recanti, in particolare, informazioni relative ai “file” temporanei e ai “cookie” originati, sul computer utilizzato dal ricorrente, dalla navigazione in rete avvenuta durante sessioni di lavoro avviate con la password del ricorrente medesimo.
Non avendo ricevuto riscontro, il ricorrente ha presentato ricorso al Garante ai sensi degli art. 145 e s. del Codice, ritenendo illecito il trattamento.
Il ricorrente ha sostenuto che tra i dati in questione comparivano anche alcune informazioni di carattere sensibile idonee a rivelare, in particolare, convinzioni religiose, opinioni sindacali, nonché gusti e tendenze sessuali posto che numerosi file fanno riferimento a siti Internet a contenuto pornografico. La resistente avrebbe trattato tali dati senza alcun consenso e senza informare preventivamente circa la possibilità di effettuare controlli sui terminali d’ufficio né l’interessato, né il “sindacato interno all’azienda (…), in aperto spregio all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori che prevede che tale attività può avvenire solo previo consenso del sindacato o dell’ispettorato del lavoro“. Il ricorrente ha pertanto ribadito le sue precedenti istanze chiedendo anche di porre a carico del soccombente le spese sostenute per il procedimento.
A seguito dell’invito ad aderire formulato da questa Autorità in data 7 novembre 2005 ai sensi dell’art. 149, comma 1, del Codice, la resistente ha risposto con memoria del 29 novembre 2005 con la quale, considerando il ricorso inammissibile (dal momento che il ricorrente, contestando “fermamente di avere mai operato le azioni oggetto della contestazione disciplinare“, non sarebbe legittimato a proporlo), ha ritenuto lecito il trattamento citando casi analoghi di controllo dei lavoratori ritenuti leciti in giurisprudenza e dichiarando, in particolare, che:
- “i fatti su cui si fonda il ricorso (…) traggono origine dal licenziamento per giusta causa intimato” al ricorrente “a seguito dell’accertamento (…) di alcune gravi violazioni poste in essere dal lavoratore e che, per la parte che interessa questo procedimento, ha riguardato l’illecito accesso ad Internet dai computer aziendali in uso allo stesso (…), l’appropriazione indebita del materiale cartaceo utilizzato per stampare i risultati della navigazione, nonché il danneggiamento della rete aziendale a causa dei virus informatici introdottisi, fatti per i quali si è provveduto a proporre relativa querela“;
- il ricorrente non è stato preventivamente informato di possibili controlli informatici in considerazione del fatto che gli accessi ad Internet, “in virtù delle mansioni affidate al lavoratore, non sarebbero dovuti avvenire“;
- ZK S.p.A. è comunque “dotata di un manuale della qualità accessibile a tutti i dipendenti della clinica che hanno in uso i terminali aziendali (…), essendo consultabile dal computer cliccando su apposita icona“; il manuale avverte i lavoratori sia della circostanza che “per la salvaguardia dei dati si procederà a backup periodici ed all’installazione e manutenzione di opportuni programmi antivirus“, sia del fatto che “gli elaboratori sono da considerarsi beni aziendali affidati al lavoratore per lo svolgimento delle sue mansioni; ogni utilizzo per fini privati deve essere evitato“;
- la società non era obbligata a raccogliere il consenso che non è richiesto (art. 24 del Codice) quando il trattamento, come nel caso di specie, nasce dalla “legittima esigenza di far valere i propri diritti, anche ai fini della loro tutela in giudizio. E ciò, sia rispetto al rapporto di lavoro con il XY ed alla sua risoluzione, sia rispetto alla tutela di patrimonio ed attività aziendale, nonché alla finalità di quest’ultima, rilevante sotto il profilo sociale, operando la ZK S.p.A. nel campo della sanità accreditata (…) e, quindi, inserita nell’ampio sistema previsto dal nostro ordinamento per garantire il diritto, di rilevanza costituzionale, alla salute del cittadino“;
- gli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori non farebbero “venire meno il potere dell’imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di controllare direttamente o mediante propria organizzazione gerarchica l’adempimento delle prestazioni cui sono tenuti i lavoratori, e così di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi già commesse o in corso di esecuzione“; per poter applicare il divieto di controllo a distanza dei lavoratori di cui all’art. 4 della l. n. 300/1970, “è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dall’ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cd. controlli difensivi)” (cfr. Cass. n. 4746/2002), quali quelli messi in atto nel caso di specie;
- “l’utilizzo privato dell’elaboratore aziendale costituisce illecito contrattuale a carico del lavoratore“; pertanto, la società poteva porre lecitamente in essere i necessari controlli difensivi volti a far valere i propri diritti.
Nell’audizione del 6 dicembre 2005 il ricorrente ha rilevato che dalla motivazione delle sentenze citate dalla controparte risulta che nei predetti casi il controllo dei lavoratori è stato considerato lecito in quanto il trattamento di dati personali sarebbe “stato breve e non eccedente, ovvero effettuato limitatamente ai tempi di connessione e non ai contenuti“.
Con memoria del 13 gennaio 2006 (successiva alla proroga del termine per la decisione sul ricorso disposta da questa Autorità, ai sensi dell’art. 149, comma 7, del Codice, il 6 dicembre 2005), la resistente ha ribadito di ritenere lecito il trattamento ed ha comunicato che, su richiesta del ricorrente, è stata fissata la data di convocazione delle parti per il tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi degli artt. 410 e ss. c.p.c.; ciò, confermerebbe la volontà del ricorrente “di adire l’autorità giudiziaria al fine di far valere l’illegittimità del licenziamento“.
Nella memoria pervenuta il 25 gennaio 2006, il ricorrente ha ribadito le proprie richieste ed ha rilevato in particolare che:
- l’unica password utilizzata dal ricorrente era la “password utente” che consente di avviare la sessione di lavoro sul computer, mentre nessuna password era prevista per entrare nella rete Internet, liberamente accessibile mediante l’icona relativa al browser Explorer di Windows;
- nel “manuale della qualità della ZK (…) non si fa alcun riferimento ai controlli degli accessi ad Internet“; comunque non sono stati trattati file di backup poiché dalla stringa contenuta nelle “pagine sui dati sulle navigazioni riferite” al ricorrente “(c:\copia\documents and settings\x-y\impostazioni locali\temporary internet files\) emerge che c’è stata un’operazione manuale di copia della “directory temporary internet files” contenuta nella cartella “x-y”“; analoga operazione sarebbe stata effettuata sulla “cronologia delle navigazioni, non riferibile ad un backup automatico“;
- tra i dati trattati compaiono anche alcune informazioni idonee a rivelare la vita sessuale il cui trattamento, se effettuato senza il consenso scritto dell’interessato, è consentito (art. 26, comma 4, lett. c) del Codice) solo per far valere in giudizio un diritto “di rango pari a quello dell’interessato“; i diritti fatti valere dalla resistente (risoluzione del rapporto di lavoro, tutela del patrimonio aziendale, asserita finalità sociale perseguita dall’azienda per tutelare la salute del cittadino), non consisterebbero “in diritti di pari grado a quelli che il sig. XY (…) si appresta a proteggere“;
- il trattamento effettuato dal datore di lavoro sarebbe pertanto eccedente, dal momento che lo stesso è “durato ad libitum, ovvero almeno dai primi giorni del mese di gennaio 2005“.
Con memoria pervenuta il 27 gennaio 2006, la società resistente ha ribadito la liceità del trattamento effettuato.
CIÒ PREMESSO, IL GARANTE OSSERVA
Il ricorso verte sulla liceità e correttezza del trattamento di dati relativi alle navigazioni in Internet contestate ad un dipendente dal datore di lavoro.
Il ricorso è fondato.
Va in primo luogo rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso.
La resistente ha contestato l’indebito utilizzo di strumenti aziendali per fini privati, imputando al ricorrente le “navigazioni” effettuate sul web durante sessioni di lavoro avviate con l’uso della sua password. Considerato il collegamento diretto ed univoco che la società ha rappresentato (ai fini della contestazione disciplinare, del licenziamento per giusta causa e della querela sporta) tra la persona del ricorrente e i dati desunti sia dai file temporanei, sia dai cookie prodotti in giudizio, il ricorrente stesso assume la qualità di “interessato” (art. 4, comma 1, lett. a), del Codice, secondo cui è tale “la persona fisica (…) cui si riferiscono i dati personali“) ed è, pertanto, legittimato ad esercitare i diritti di cui all’art. 7 del Codice e a presentare ricorso al Garante.
Per ciò che concerne il merito va rilevato che la società, per dimostrare un comportamento illecito nel quadro del rapporto di lavoro, ha esperito dettagliati accertamenti in assenza di una previa informativa all’interessato relativa al trattamento dei dati personali, nonché in difformità dall’art. 11 del Codice nella parte in cui prevede che i dati siano trattati in modo lecito e secondo correttezza, nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità perseguite.
Dalla documentazione in atti si evince che la raccolta da parte del datore di lavoro dei dati relativi alle navigazioni in Internet è avvenuta mediante accesso al terminale in uso all’interessato (con copia della cartella relativa a tutte le operazioni poste in essere su tale computer durante le sessioni di lavoro avviate con la sua password, come si desume dalla stringa riportata in apice all’elenco dei file prodotti dalla resistente “c:\copia\Documents and settings\x-y\“), anziché mediante accesso a file di backup della cui esistenza il personale della società è informato mediante il “manuale della qualità ” accessibile agli stessi sul proprio terminale.
A parte la circostanza che l’interessato non era stato, quindi, informato previamente dell’eventualità di tali controlli e del tipo di trattamento che sarebbe stato effettuato, va rilevato sotto altro profilo che non risulta che il ricorrente avesse necessità di accedere ad Internet per svolgere le proprie prestazioni. La resistente avrebbe potuto quindi dimostrare l’illiceità del suo comportamento in rapporto al corretto uso degli strumenti affidati sul luogo di lavoro limitandosi a provare in altro modo l’esistenza di accessi indebiti alla rete e i relativi tempi di collegamento. La società ha invece operato un trattamento diffuso di numerose altre informazioni indicative anche degli specifici “contenuti” degli accessi dei singoli siti web visitati nel corso delle varie navigazioni, operando -in modo peraltro non trasparente- un trattamento di dati eccedente rispetto alle finalità perseguite.
La raccolta di tali informazioni ha comportato, altresì, il trattamento di alcuni dati sensibili idonei a rivelare convinzioni religiose, opinioni sindacali, nonché gusti attinenti alla vita sessuale (ciò, stante l’elevato numero di informazioni valutate in rapporto ad un lungo arco di tempo, gli specifici contenuti risultanti da alcuni indirizzi web e il contesto unitario in cui il complesso di tali dati è stato valutato), rispetto ai quali la disciplina in materia di dati personali pone peculiari garanzie che non sono state integralmente rispettate nel caso di specie (art. 26 del Codice; aut. gen. del Garante n. 1/2004).
Va infatti tenuto conto che, sebbene i dati personali siano stati raccolti nell’ambito di controlli informatici volti a verificare l’esistenza di un comportamento illecito (che hanno condotto a sporgere una querela, ad una contestazione disciplinare e al licenziamento), le informazioni di natura sensibile possono essere trattate dal datore di lavoro senza il consenso quando il trattamento necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria sia “indispensabile” (art. 26, comma 4, lett. c), del Codice; autorizzazione n. 1/2004 del Garante). Tale indispensabilità, anche alla luce di quanto precedentemente osservato, non ricorre nel caso di specie.
Inoltre, riguardando anche dati “idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale“, il trattamento era lecito solo per far valere o difendere in giudizio un diritto di rango pari a quello dell’interessato ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Anche tale circostanza non ricorre nel caso di specie, nel quale sono stati fatti valere solo diritti legati allo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. art. 26, comma 4, lett. c), del Codice; punto 3, lett. d), della citata autorizzazione; cfr. Provv. Garante 9 luglio 2003).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte e considerato l’art. 11, comma 2, del Codice secondo cui i dati trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati, l’Autorità dispone quindi, ai sensi dell’art. 150, comma 2, del Codice, quale misura a tutela dei diritti dell’interessato, il divieto per la società resistente di trattare ulteriormente i dati personali raccolti nei modi contestati con il ricorso.
La presente decisione lascia impregiudicati i diritti delle parti in ordine alla liceità o meno dei comportamenti addebitati al ricorrente.
Sulla base della determinazione generale del 19 ottobre 2005 relativa alla misura forfettaria dell’ammontare delle spese e dei diritti da liquidare per i ricorsi, l’ammontare delle spese e dei diritti inerenti all’odierno ricorso e posto a carico della resistente è determinato nella misura forfettaria di euro 500, di cui euro 150 per diritti di segreteria, considerati gli adempimenti connessi, in particolare, alla presentazione del ricorso.
PER QUESTI MOTIVI IL GARANTE
a) dichiara fondato il ricorso e, per l’effetto, vieta alla società resistente il trattamento dei dati personali dell’interessato oggetto del ricorso;
b) determina nella misura forfettaria di euro 500 l’ammontare delle spese e dei diritti del procedimento posti a carico di ZK S.p.A., che dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente.
Roma, 2 febbraio 2006
IL PRESIDENTE
Pizzetti
IL RELATORE
Paissan
IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli