GLI AVVOCATI TRA IL PRINCIPIO ONNIVORO DELLA PRIVACY,
L’ART. 28 CODICE DEONTOLOGICO E GLI ARTT. 616 E SS. C.P.
di Antonio Guantario

E’ prassi diffusa tra gli avvocati di utilizzare formule standardizzate che, in asserita tutela della privacy, vengono apposte in calce alle lettere, mail e fax che quotidianamente inviano ai colleghi avversari, se non, addirittura, direttamente alle controparti.


Una di queste formule, tra l’altro suggerita in qualche sito Internet, è la seguente:







Il contenuto della presente ed i suoi allegati sono diretti esclusivamente al destinatario e devono ritenersi riservati con divieto di djffusione e di uso nei giudizi, salva espressa autorizzazione e, nel caso di utilizzo senza espressa autorizzazione, verrà effettuata denuncia al competente Consiglio dell‘Ordine per violazione dell‘art 28 del Codice Deontologico.


La diffusione e la comunicazione da parte di soggetto diverso dal destinatario è vietata dall‘art. 616 e ss. c.p. e dal d. l.vo n. 196/03.


Orbene, accade sovente che gli avvocati, inserita la “formula” sopra indicata nella carta intestata ovvero nel file del modello (o foglio di stile) del testo lettera (fax o mail), la utilizzino indiscriminatamente sia con riferimento alle comunicazioni destinate ai colleghi avversari che a quelle destinate direttamente e personalmente alle parti avverse, e ciò soprattutto nella fase stragiudiziale di una controversia.


Fatta questa premessa, la lettura della “formula” innanzi trascritta ci induce ad esporre alcuni rilievi critici sul suo contenuto, con proposte operative:


a) ove inserita nelle comunicazioni inviate direttamente e personalmente alla parta avversa


Cosa potrà mai pensare un privato che legga in una lettera di avvocato che l’eventuale violazione della riservatezza comporterà una denuncia al competente Consiglio dell’ordine?


Probabilmente, nella migliore delle ipotesi, il destinatario, culturalmente accorsato o meno, non potrà che sorridere. Nella peggiore, potrebbe pensare che l’avvocato consideri collega ogni privato cittadino.


Ma non è tutto.


Il privato destinatario della comunicazione viene avvertito che non può diffondere e/o produrre in giudizio la comunicazione a lui diretta. E magari, la lettera contiene una diffida, una intimazione o una denunzia di vizi, ecc.


A questo punto vien da dire che l’avvertimento di non producibilità in giudizio appare anche errato sul piano squisitamente giuridico. Il privato non è un avvocato, e non è soggetto alle regole deontologiche dell’avvocatura.
Con l’aggravante che l’avvertimento riguardante la natura riservata della comunicazione, la possibile denuncia al competente Consiglio dell’Ordine, i divieti di cui agli artt. 616 e ss. c.p. e del d. l.vo n. 196/03, è idoneo ad ingenerare nell’ignaro cittadino paure ingiustificate, e, se si vuole, in contrasto con il suo diritto di difesa ex art. 24 Cost.


E questa volta sì, probabilmente, in violazione delle regole deontologiche.


b) ove inserita nelle comunicazioni inviate al collega avversario


L’art. 28 Codice deontologico prescrive al primo comma che: “Non possono essere prodotte o rjferite in giudizio le lettere qualjficate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi


A questa stregua è ben vero che la riservatezza della comunicazione è frutto di una decisione unilaterale del mittente, ai cui effetti (regola della non producibilità in giudizio) egli stesso per primo si sottopone, ma non è altrettanto vero che si possa formulare l’avvertimento indiscriminato che “nel caso di utilizzo senza espressa autorizzazione, verrà effettuata denuncia al competente Consiglio dell‘Ordine per violazione dell‘art. 28 del Codice Deontologico”.


La “formula” in commento non prende in considerazione i casi, espressamente disciplinati dall’art. 28 codice deontologico punti I e Il secondo cui, pur in presenza di lettera qualificata “riservata”:




  • I. E’ producibile la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione.

  • Il. E’ producibile la corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.

Proposte operative


Alla luce delle considerazioni svolte riteniamo opportuno e utile innanzitutto scindere la “formula” in due modelli diversi a seconda che la comunicazione sia diretta ad un privato ovvero ad un collega.


Nel primo caso andrebbero eliminati tutti i riferimenti al codice deontologico che non avrebbero e non hanno senso.


Nel secondo caso occorrerebbe inserire una precisazione che faccia salve le deroghe espressamente previste dall’art. 28 codice deontologico punti I e Il.


In entrambi i casi sarebbe opportuno ed elegante evitare di inserire ogni riferimento ai divieti di cui agli artt. 616 e ss. c.p. e del d. Lvo n. 196/03, trattandosi di riferimenti idonei ad ingenerare timori eccessivi e fuorvianti.


Si pensi soltanto ai dubbi che si possono ingenerare nel privato che potrebbe addirittura temere di non poter consegnare e/o diffondere la comunicazione a figure professionali di sua fiducia per farsi consigliare e/o difendere.


Evocare il codice penale in via preventiva, addirittura in ogni comunicazione che si invia, e senza selezionare i casi specifici, non appare una grande lezione di stile.


Si auspica, pertanto, che al più presto la “formula” venga modificata, sì da evitare che avvocati in buona fede possano pensare che essa sia valida sempre ed in ogni caso.


Avv. Antonio Guantario


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Nota redazionale


Il collega Guantario ha affrontato una problematica di indubbio interesse ma è opportuno e doveroso fare offervare che la formula da lui richiamata corrispondente a quella suggerita nella apposita sezione di questo sito come quella richiamata in altri siti, costituisce una mera formula di stile suggerita che va adattata dall’avvocato a seconda della comunicazione ed a seconda del destinatario. Si è sicuri che i colleghi attenti sapranno adattare la formula suggerita al caso specifico.