REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI TRANI
SEZIONE DI ANDRIA
In Persona del Giudice Unico, dott. Paolo Rizzi, ha pronunziato la presente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero 10266 del registro generale per gli affari contenziosi dell’anno 2002 posta in deliberazione all’udienza del 25 novembre 2003, con contestuale concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica scaduto il 13 febbraio 2004 e vertente
TRA
M. C., elett.te domiciliato in Andria, via Poli n. 9/11, presso lo studio dell’avv. N. D. B., che la rappresenta e difende come da procura a margine dell’atto di appello; APPELLANTE
E
A. ASSICURAZIONI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elett.te domiciliata in Andria, presso lo studio dell’avv. S. D. T., rappresentata e difesa dall’avv. M. C. come da procura in calce all’atto di appello; APPELLATA
NONCHÉ
G. e R. L.; APPELLATI CONTUMACI
OGGETTO: risarcimento danni da sinistro stradale, appello avverso sentenza del Giudice di Pace.
Conclusioni
All’udienza del 25 novembre 2003 così i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni:
per l’appellante: “precisa le proprie conclusioni così come rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio nonché incorso di causa ”;
per l’appellata: “precisa le proprie conclusioni riportandosi a tutte quelle rassegnate in comparsa di costituzione e in corso di giudizio”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il giorno 8 giugno 2000 M. C. convenne in giudizio davanti al Giudice di Pace di Andria G. e R. L. nonché la A. Assicurazioni S.p.A. esponendo che: in data 10 novembre 1999, verso le ore 21:00, mentre attraversava sulle strisce pedonali la via Regina Margherita all’altezza del civico 2 in abitato di Andria, veniva investita dalla vettura tg. (omissis) di proprietà di R. L. e condotta da G. L., assicurata per la r.c.a. dalla A. Assicurazioni S.p.A.; nell’occasione subì subiva lesioni personali pari a lire 1.938.400, che la compagnia convenuta non intese risarcire.
Ciò premesso concluse chiedendo la condanna dei convenuti, in via solidale tra loro, al risarcimento dei danni nella misura di lire 1.938.400 ovvero della somma di giustizia. Oltre al pagamento delle spese e competenze di causa.
Si costituì in giudizio solo la A. Assicurazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, contestando la domanda e chiedendone il rigetto, contestando quanto esposto in citazione anche con riferimento ammontare del risarcimento richiesto.
La causa fu istruita documentalmente, mentre il convenuto G. L. omise di rendere l’interrogatorio deferitogli, quindi disposta C.T.U., fu trattenuta in decisione.
Con sentenza n.159/2001 del 21 maggio 2001, depositata il successivo 29 luglio, il Giudice di Pace ha rigettato la domanda perché non provato l’evento dannoso, ed ha compensato le spese di lite, lasciando a carico dell’attrice le spese anticipate di C.T.U.
Avverso detta sentenza M.C. ha proposto appello con atto notificato il 2/4 luglio 2002.
Ha denunciato l’errore in cui è incorso il giudice di prime cure nella valutazione delle risultanze processuali avendo omesso di valorizzare il complesso di elementi sulla cui scorta ritenere compiutamente provata la domanda.
In particolare, ha evidenziato che è stato omesso di attribuire il giusto rilievo alla contumacia dei convenuti, alla mancata risposta di uno di essi all’interrogatorio formale deferitogli, alla mancata comparizione all’udienza finalizzata all’esperimento del tentativo di conciliazione e destinata all’interrogatorio libero delle parti, al loro comportamento extraprocessuale nonché alle risultanze della C.T.U. ed alla disciplina di favore che assiste il danneggiato in casi quali quello oggetto di controversia.
Tutto ciò premesso ha concluso chiedendo: “accertare l’esclusiva responsabilità di G. L. in merito al sinistro de quo e, per l’effetto, condannare i convenuti al risarcimento dei danni, in favore di M. C., con il pagamento della somma che sarà ritenuta di giustizia e, comunque contenuta nei limiti di euro 5.164,51. Con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio”.
Si è costituita in giudizio l’A. Assicurazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, deducendo che correttamente il Giudice di primo grado ha ritenuto non provata la domanda facendo buon uso dei principi processuali in materia.
Quindi, ha evidenziato che gli elementi valorizzati dall’appellante sono insufficienti a ritenere dimostrata in modo compiuto la dinamica del sinistro e la responsabilità del veicolo assicurato e, comunque, non possono essere opposti alla compagnia esponente.
Ha chiesto: “rigettare integralmente l’avversa impugnazione e per l’effetto confermare la sentenza di primo grado. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio”.
G. e R. Lasciarrea hanno omesso di costituirsi in giudizio rimanendo, pertanto, contumaci.
Dopo l’acquisizione del fascicolo di ufficio del giudizio di primo grado, omessa ogni altra attività istruttoria, all’udienza del 25 novembre 2003 la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti, con contestuale assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere confermata l’ordinanza depositata in data 3 dicembre 2002 che, disponendo la remissione della controversia ad udienza di precisazione delle conclusioni, ha implicitamente rigettato l’istanza istruttoria articolata dalla C. nel proprio atto di appello.
Infatti, secondo l’orientamento della Suprema Corte che il Tribunale condivide “in tema di nuovi mezzi di prova nel giudizio di appello, l’indispensabilità richiesta dall’art. 345, comma terzo, cod. proc. civ. non può significare la mera rilevanza dei fatti dedotti a prova (che ovviamente è condizione dell’ammissibilità di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale. Come già nel processo del lavoro (art. 437, comma secondo cod. proc. civ.), il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dal comma terzo dell’arte. 345 cod. proc. civ., benché abbia carattere ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (essendo tale limite superabile – secondo la nuova formulazione dell’art. 345 cod. proc. civ. – nella sola ipotesi in cui la parte dimostri di non avere potuto proporre il mezzo istruttorio nel giudizio di primo grado “per causa ad essa non imputabile”)” (Cass civ., sez. I, 13 dicembre 2000, n. 15716).
Orbene, nel caso di specie l’appellante si è limitata ad indicare un teste per la prima volta nell’atto di appello, allegando di averlo individuato solo successivamente all’emissione della sentenza di primo grado.
Non ha, tuttavia, indicato le circostanze di tale successiva indicazione né le attività di ricerca delle proprie fonti di prova svolte prima della maturazione delle preclusioni istruttorie nel giudizio davanti al Giudice di Pace, che dovrebbero, invece, essere apprezzate al fine di verificare in concreto la ricorrenza di una decadenza non imputabile alla parte che grava sulla parte dimostrare ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c.
Nel merito, l’appello è infondato e deve essere rigettato.
Infatti, correttamente il Giudice di prime cure ha ritenuto non provato l’evento dannoso e la sua eziologica riferibilità a fatto colpevole dei convenuti.
Né è possibile colmare detta lacuna attraverso la valorizzazione del complesso degli elementi acquisiti al giudizio, come opinato dall’appellante.
Infatti, del tutto irrilevante è la contumacia dei convenuti L. ovvero la mancata risposta di uno di essi all’interrogatorio formale deferitogli, avente ad oggetto le circostanze relative all’investimento.
In proposito la giurisprudenza consolidata di legittimità ha chiarito che “la contumacia del convenuto e la mancata risposta del medesimo all’interrogatorio formale non dimostrano la fondatezza della pretesa dell’attore, atteso che il giudice può ritenere come ammessi i fatti oggetto dell’interrogatorio solo dopo aver valutato ogni elemento di prova (art. 232 cod. proc. civ.), mentre la contumacia – la quale è un fatto processuale che determina specifici effetti, espressamente previsti e determinati dalla legge – non introduce deroghe al principio dell’onere della prova, né può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore” (Cass. Civ., sez. I, 2 marzo 1996, n. 1648).
Infatti, è evidente che la contumacia, costituendo una scelta di natura della parte non può comportare alcun tipo di conseguenza per la parte ad eccezione dei casi espressamente disciplinati dal codice di rito.
Conseguentemente, l’attore non è esonerato, dalla contumacia del convenuto, dall’onere di provare compiutamente la fondatezza della propria domanda, né può chiedere che dalla scelta processuale della parte, in assenza di altri apprezzabili elementi probatori addotti a sostegno della propria pretesa, possano trarsi conseguenze ex art. 116 c.p.c. in ordine alla dimostrazione del proprio assunto.
Altresì neutra è di per sé la mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale deferitogli, se tale fatto processuale non si inserisce in un contesto di ulteriori elementi oggettivi di rilievo probatorio.
Infatti, “la mancata risposta della parte all’interrogatorio formale rappresenta un fatto qualificato, riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, ma che resta tuttavia soggetto alla sua prudente valutazione ed al quale, quindi, il giudice può negare nel caso concreto quel valore quando ritenga i fatti dedotti non suffragati dagli altri elementi acquisiti al processo purché dia conto del proprio convincimento con adeguata motivazione” (Cass. Civ., sez. III, 13 novembre 1997, n. 11233), tanto che “non è affetta da vizio di motivazione la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale dal momento che la legge consente di desumere solo elementi indiziari dalla mancata risposta della parte prevedendo che il giudice può ritenere come ammessi, valutato ogni altro elemento di prova, i fatti dedotti nell’interrogatorio. L’esercizio di tale facoltà, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità” (Cass. Civ., sez. III, 18 ottobre 2001, n. 12750).
Nel caso concreto alla contumacia dei convenuti ed alla mancata risposta di G. L. non può assegnarsi alcun rilievo, atteso che non vi è alcun altro elemento idoneo a ritenere ammessi i fatti esposti in citazione.
Tale, infatti, non è l’avvenuta richiesta stragiudiziale di risarcimento del danno subito dalla C., in quanto dal contegno negativo dei convenuti non è possibile inferire alcuna ammissione del fatto generatore del danno.
Irrilevante è pure quanto dichiarato dall’appellante al medico del pronto soccorso presso cui si è recata dopo il sinistro nonché quanto da essa riferito in sede di interrogatorio libero davanti al Giudice di prime cure, atteso che si tratta di fatti favorevoli al dichiarate e quindi inopponibili ai convenuti.
Altresì irrilevante è la mancata comparizione dei convenuti contumaci all’udienza per l’interrogatorio libero e l’espletamento del tentativo di conciliazione, in quanto condotta coerente con la scelta di non costituirsi in giudizio.
Infine, nessun elemento circa la responsabilità del L. può estrarsi dalla relazione di C.T.U., atteso che il consulente ha solo rilevato la astratta compatibilità tra le lesioni riscontrate sulla persona dell’attrice ma, evidentemente, non poteva affermare la responsabilità dei convenuti in ordine al fatto generatore del danno.
Gli elementi menzionati, in considerazione della loro scarsa idoneità a provare l’accadimento dannoso e la relativa responsabilità, non possono assumere neppure il rilievo di indizi da cui trarre una pregnante presunzione circa la veridicietà di quanto affermato nell’atto di citazione.
Conseguentemente, essendo rimasto indimostrato lo stesso fatto produttivo della danno patito dalla C. ed il coinvolgimento dei convenuti, irrilevanti si appalesano i richiami al regime probatorio più favorevole ad danneggiato, che quanto meno quella prova presuppone.
Sussistono giusti motivi e d’equità per compensare integralmente tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio, mentre quelle relative al giudizio di primo grado restano regolate dalla sentenza gravata.
P.Q.M.
Il Giudice unico di Trani, sezione di Andria, definitivamente pronunziando sull’appello proposto da M. C. avverso la sentenza n.159/2001 pronunciata dal Giudice di Pace di Andria il 21 maggio 2001, depositata il 29 maggio 2001, con atto notificato il 2/4 luglio 2002 nei confronti di G. e R. L. nonché della A. Assicurazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rigettata ogni altra istanza così provvede:
• Rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza gravata;
• Dichiara interamente compensate le spese di lite del presente grado di giudizio.
così deciso in Andria , addì 6 aprile 2004.
Il Giudice
Dott. Paolo RIZZI